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Cosa c’è di sacro nel branding?

Tempo di lettura: 1 min

Non è una provocazione. Spesso parliamo di marche o prodotti “di culto” oppure dei “riti” su cui si basano le community, per cui il parallelismo col sacro esiste. Ma cosa c’è di sacro nel processo di costruzione di una marca?

Chiunque abbia un minimo di esperienza nel branding sa che non ci sono molte regole scritte sulla pietra. Si possono scegliere modelli alternativi, cambiare le parole, invertire delle fasi. Ciò che vale per una marca non vale per un’altra, per questo le agenzie e i consulenti di branding trattano ogni cliente in maniera diversa.

Nulla è sacro, nel branding, tranne una cosa: la coerenza.

Vale più o meno tutto purché sia coerente. La coerenza va tenuta a parte da qualunque altro elemento del brand, va onorata con devozione e temuta come si teme la collera di una divinità. Perché è l’unica cosa che non cambia mai: se non sei coerente, il tuo brand è in pericolo.

P.S. Dopo aver pubblicato questa riflessione su Linkedin alcune persone mi hanno fatto notare altri aspetti del brand che potremmo definire sacri: Alessandro Ubertis, ad esempio, ha suggerito “fedeltà, reputazione, differenziazione, testimonianza e diffusione di valore e soprattutto bene comune”. Tutti obiettivi importantissimi, ovviamente, ma che non definirei sacri perché ogni brand trova la sua strada per raggiungerli. La coerenza, invece, è sacra perché immutabile. Lo ripeto: se non sei coerente, la tua marca è in pericolo. E chiedersi se ciò che si sta facendo è coerente con la propria identità di marca dovrebbe essere un rituale da ripetere continuamente.