Vai al contenuto

Fake news e fake brands

Tempo di lettura: 2 min

Una delle cose più interessanti che ho fatto quest’estate è stata partecipare a una serata sulle fake news ospitata dal Falseum, il museo del falso di Verrone (BI), all’interno di un progetto europeo. Insieme ad altri giornalisti ho risposto alle domande di una ventina di ragazzi provenienti da Francia, Croazia e Portogallo.

Ci sono due concetti importanti che tenevo a far passare. Il primo è che dobbiamo essere disposti a pagare per la nostra informazione, altrimenti qualcun altro pagherà al posto nostro: a volte la pubblicità, con i suoi interessi di marketing, a volte persone o gruppi interessati a diffondere un visione distorta della realtà.

La seconda cosa è che noi non possiamo sapere cosa è vero, ma possiamo capire cosa è falso. Raggiungere la verità è oltre le possibilità umane, per questo le teorie scientifiche non vengono “verificate” ma “falsificate”: se una teoria resiste ai tentativi di falsificazione può essere presa come provvisoriamente vera. Lo stesso vale per le notizie: non chiedetevi se una notizia è vera, ma se è falsa. In questo modo smaschererete molte informazioni faziose o inventate.

Tornando a casa mi sono chiesto: questa serata può insegnarmi qualcosa sul branding?

Un momento della serata al Falseum, con i ragazzi del progetto Erasmus.

Ho capito che la mia lotta contro le fake news è la stessa lotta che porto avanti contro i brand che cavalcano i sentimenti di pancia delle persone (mossi molto più dalle paure che dagli ideali).

Nel sesto episodio di Brandroad prima delle vacanze avevo condiviso con Luca La Mesa la mia impressione che negli ultimi anni siano aumentati i brand con identità ribelli molto aggressive, perché queste identità di marca sono premiate dai social media. Le tecniche per costruire e comunicare questi brand non mi sembrano sostanzialmente diverse da quelle per propagare fake news.

Un brand ha l’obiettivo di costruire un mondo a cui le persone possano aderire, non di aderire al mondo a cui le persone già credono. In questo secondo caso possiamo dire di avere un fake brand.