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All Eyes on Us

All Eyes on Us cover
Tempo di lettura: 5 min

La grafica «All Eyes on Rafah» ha attirato l'attenzione sul conflitto nella Striscia di Gaza, ma ha anche sollevato polemiche sull'uso dell'IA.


Perché è importante: La vicenda ci ricorda perché alcuni messaggi funzionano meglio di altri (e vale anche per il branding e il marketing).


Di questa vicenda sapete probabilmente tutto. La grafica generata probabilmente con l'IA mostra un campo profughi visto dall'alto, con le tende che compongono la scritta «All Eyes on Rafah» (Tutti gli occhi puntati su Rafah). In pochi giorni ha ricevuto decine di milioni di condivisioni sui social media, molto più che qualunque altra grafica o fotografia scattata a Gaza dallo scorso ottobre. E questo ha sollevato parecchi dubbi in molti osservatori.

In generale, il ragionamento dei detrattori sembra essere quello espresso dall'attrice Rachel Zegler: «Trovo inquietante che così tante persone si siano improvvisamente sentite a proprio agio nel dimostrare il sostegno alla causa palestinese solo quando hanno potuto condividere un'immagine generata dall'intelligenza artificiale, che non riesce nemmeno a sfiorare i veri orrori vissuti da questi esseri umani».

Non a caso Angela Watercutter su Wired e Laura Hood su The Conversation hanno paragonato «All Eyes on Rafah» con alcune delle più famose fotografie di altri conflitti, come la famosa «Napalm Girl» del 1973 (una bambina di 9 anni in fuga da un bombardamento in Vietnam):

«C'è dell'ironia nel fatto che quello che hanno visto tutti questi occhi puntati su Rafah non sia davvero Rafah», scrive Watercutter.

E in Italia anche Paolo Iabichino ha proposto lo stesso parallelismo tra questa grafica e le grandi fotografie di guerra del passato:

«L’assunto di verità nei nuovi immaginari costruiti dalle piattaforme e dalle intelligenze artificiali ha abdicato alla sua funzione. Perché non è più il tempo e non c’è più tempo per “leggere” le fotografie».

Ci sono alcuni punti che non mi trovano d'accordo in questo ragionamento.

Primo: il confronto con le fotografie non torna, perché questa grafica non finge di essere una fotografia. Non sappiamo nulla della sua origine, nemmeno se sia davvero stata generata con l'IA, ma sappiamo che non è una fotografia perché l'autore non ha creato un'immagine realistica: ha creato una grafica. Fosse stata realizzata per un'altra guerra, prima dell'avvento dell'IA, usando Photoshop, i ragionamenti sarebbero totalmente diversi. Magari l'avremmo paragonata ad altre grafiche o slogan, come la maschera di V per Vendetta e lo slogan «We are the 99%» durante Occupy Wall Street ad esempio.

Secondo: siamo sicuri che le fotografie raccontino sempre la realtà? Era reale il fotomontaggio di un cimitero di guerra sconfinato, realizzato da Oliviero Toscani per una campagna Benetton e uscito lo stesso giorno dell'inizio della Guerra del Golfo? Perfino la bandiera degli Stati Uniti issata da cinque soldati a Iwo Jima dopo una delle battaglie più importanti della Seconda guerra mondiale e ritratta da Joe Rosenthal non era la prima bandiera piantata quel giorno. Eppure non per questo ci appaiono meno vere, semplicemente comunicano una verità che va oltre le semplici immagini.

Terzo: è stata efficace nel portare attenzione su ciò che sta accadendo. Questo è il grafico di Google Trends sull'interesse nel mondo intorno al conflitto israelo-palestinese e alla Striscia di Gaza:

Il picco più a destra corrisponde ai giorni del 28 e 29 maggio, quando la grafica è diventata virale. Difficile spiegarlo con i soli fatti: l'attacco al campo profughi ha sì causato 45 morti, ma si stima che i palestinesi che hanno perso la vita dall'inizio dell'invasione siano 37.000. Dunque significa che, mediamente, grazie a questa grafica le persone si sono interessate di più al conflitto cercando informazioni online.

In fondo, «All Eyes on Rafah» ci ricorda una semplice regola della comunicazione. Per dirla con le parole di una famosa campagna Levi's (diretta da John Hegarty e scritta da Barbara Nokes): «When the world zigs, zag» (Quando il mondo fa zig, fai zag).

Da quando la maggior parte delle persone ha una fotocamera in tasca siamo sommersi di immagini scioccanti, il solo conflitto israelo-palestinese tra l'attacco del 7 ottobre e l'invasione di Gaza ne ha fornite moltissime, purtroppo (il New York Times ne ha raccolte e commentate parecchie). La maggior parte delle persone non sopporta di essere esposto a questo livello di atrocità, si volta dall'altra parte per autodifesa.

Non c'è da stupirsi che sia stato un contenuto diverso da una fotografia ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica: emerge infatti per diversità e non espone a un livello di atrocità per molti intollerabile.

Ora la speranza è che abbia l'effetto di altre immagini iconiche del passato e generi un cambiamento concreto nella realtà.


Per approfondire: