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Come nasce l’affetto per un brand

Tempo di lettura: 2 min

Per ispirare affetto un brand deve porsi l’obiettivo di esserci, essere qui e ora, con discrezione e con coerenza, in un momento emozionante della nostra vita.


Perché è importante: Sapere come nasce l’affetto per un brand suggerisce un certo modo di essere, l’atteggiamento di accompagna il pubblico senza prendersi troppo spazio.


Un mio ex compagno di università mi ha raccontato di aver compreso, ascoltando il mio podcast, perché nel suo armadio ci sono solo indumenti da tennis di Sergio Tacchini, calzini compresi. Mi ha detto di essersi accorto che ciò a cui è affezionato non sono i prodotti e nemmeno l’azienda (di cui dice di non conoscere nulla), ma quel “qualcosa di più” di cui avevo parlato nel primo episodio del podcast, quell’elemento intangibile che è il brand. 

Mi ha anche raccontato come è nato quell’affetto. Da piccolo aveva trovato a casa una maglietta dello stesso modello di quella indossata da John McEnroe quando ha vinto il suo primo Wimbledon, una partita che aveva visto in replica (non era ancora nato nel 1981) e che aveva fatto nascere in lui l’ammirazione per quel tennista. Da allora ogni volta che vede un prodotto di Sergio Tacchini si sente irrazionalmente “portato all’acquisto” (parole sue).

Ho ripensato molte volte a questa chiacchierata, chiedendomi per quale meccanismo della nostra mente può nascere un sentimento di affetto verso qualcosa di assolutamente immateriale come un brand. E credo, in fondo, che avvenga perché da sempre la nostra mente crea simboli e riversa in quei simboli idee ed emozioni. 

Se un cane avesse visto McEnroe vincere Wimbledon, avrebbe avuto accesso a quei ricordi e a quelle emozioni solo tornando in quel luogo o risentendo quegli odori. A noi basta rivedere il simbolo che compariva sulla sua maglietta, anche in tutt’altro contesto, anche in uno spot televisivo o sullo scaffale di un negozio. È come un link: lo vediamo e una parte di quelle emozioni torna ad accendersi.

Pensate allo sponsor sulla maglia della nostra squadra del cuore nella stagione di una grande vittoria, a quel cartellone pubblicitario che incrociavamo in cinquantino mentre andavamo dal vostro primo amore o alla marca di birra distribuita all’ippodromo dove l’anno scorso abbiamo assistito al concerto della nostra band preferita. Il brand non era il protagonista della nostra esperienza, ma in qualche modo era lì con noi, la stava vivendo insieme a noi.

A volte questi brand sono disponibili a raccogliere su sé stessi le emozioni che abbiamo provato. E mi pare accada in due condizioni particolari: quando non conosciamo quella marca (quindi non abbiamo già riversato in essa altri significati simbolici) e, soprattutto, quando l’abbiamo già vista in altri contesti coerenti con le emozioni che stiamo provando.


Per approfondire:

– Ho parlato del brand come “qualcosa di più”, citando le parole del pubblicitario Bill Backer negli anni Settanta, nella prima puntata del mio podcast Brandroad – Le vie della marca.