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Il marketing, oggi (Dialogo con Flavia Rubino)

Tempo di lettura: 6 min

Nel suo ultimo libro Flavia Rubino ha scritto che ≪il marketing oggi non può che essere brand marketing≫. Le ho proposto un confronto e questo articolo è il risultato.


Perché è importante: Da questo dialogo emergono due strategie diverse per convincere le aziende italiane a fare branding.


Di recente ho letto Il branding agile e la formula della fiducia di Flavia Rubino, uscito l’anno scorso per Hoepli. Ho apprezzato molto la proposta di mettere la fiducia al centro dei processi di branding, perché li riporta alla loro essenza: la costruzione di un rapporto tra un’entità astratta, il brand, e le persone che lo amano o ammirano.

Siccome conosco e stimo Flavia Rubino, ho un’opportunità rara: posso conversare con lei su alcuni temi del libro. Così è nato questo articolo. 

E dal momento che amiamo metterci in gioco, abbiamo scelto un passaggio che (almeno in partenza) non ci trova pienamente d’accordo e vedere dove ci conduce il confronto.

M:

A pagina 10 hai scritto che ≪Il marketing oggi non può che essere brand marketing≫. Mi spieghi meglio cosa intendi?

F:

Sono partita dall’osservazione per cui il branding oggi sia una vera e propria relazione di fiducia da alimentare con costanza e pazienza. Una ≪relazione≫ indica che ci sono due parti attive, mentre ≪la fiducia≫ è nella sua essenza più profonda un sentimento semplice e concreto, che nasce da valori condivisi, da esperienze individuali e/o collettive e dai piccoli o grandi fatti concreti che costellano quelle esperienze (anche il tono con cui risponde al telefono l’addetto/a al customer care ci ispira o non ci ispira fiducia).

La conseguenza di questa impostazione è che tutto quello che fa un/a marketer oggi ha a che vedere con il branding, perché è il brand che guida le sue azioni.

So che ci sono impostazioni diverse, dicotomiche, per cui il marketing è un insieme di azioni tattiche orientate alla vendita e il branding è la costruzione della marca nel lungo periodo, ma trovo la distinzione sterile e anche leggermente pericolosa: come se il brand fosse qualcosa che possiamo permetterci di tenere separato dal resto e affrontare solo quando ci fa comodo.

Ritengo invece che il marketing sia il processo che seleziona, organizza, disciplina, misura, tutte le attività destinate a creare e alimentare nel tempo quella relazione di fiducia, ovviamente finalizzate a una transazione che genera profitto per entrambe le parti. Insomma sia il marketing strategico che quello operativo hanno come fine il brand.

M:

Secondo me esiste ancora un marketing che fa quello che ha sempre fatto: vendere. Questo non per creare un dualismo col branding, ma per dare più autonomia ai due ambiti.

Il marketing vende. Lo fa benissimo. Lo fa con creatività e ingegno. Lo fa agendo sul prezzo, sulle offerte, sui canali di vendita, sui lanci di prodotto, sul desiderio… E nel farlo, ovviamente, influisce sul brand (del resto, tutto quello che un’impresa fa influisce sul suo brand).

Ma siccome il valore di un brand può crescere anche in modi diversi dalla vendita, credo che marketing e branding siano due cerchi che possono sovrapporsi solo in parte. E mi pare importante riconoscerne le peculiarità per sfruttarli al meglio.

F:

Credo che, come sempre quando ci si confronta attraverso una buona conversazione, si possa giungere alla costruzione di alcuni significati comuni. Parto proprio dal tuo ≪tutto quello che l’azienda fa costruisce il suo brand≫ che mi trova completamente d’accordo.

Partiamo da un dato di fatto: la maggior parte delle (piccole) aziende italiane ha poca cultura di marketing e ancora meno di branding. Credono che il marketing sia la pubblicità e i social, e il branding l’identità visiva, il logo e i colori.

In questa (triste) realtà, disquisire su dove arrivi il marketing e dove inizi il branding è quasi uno sforzo vano. Con il mio testo ho voluto dare un piccolo contributo per spiegare a chi approccia il marketing – con il desiderio di mettere un po’ di ordine in testa e poi passare all’azione – quali sono le domande da farsi e le azioni da intraprendere per fare un buon marketing: e secondo me il brand dovrebbe essere il punto di partenza di tutto, permeare il significato di tutte le azioni dell’azienda (non il contrario: l’urgenza delle vendite non dovrebbe mai snaturare il brand, quando c’è già o quando vuoi costruirlo); sia nella parte ≪strategia≫ che nella parte ≪esecuzione≫. Per tornare a quello che dicevi: le scelte di prodotto, prezzo, distribuzione, promozioni, tutte le P esecutive insomma, per me sono comunque branding.

L’obiettivo è far capire che il brand oggi non è più soltanto un’astrazione, un costrutto semantico (come dicono gli accademici bravi), un’immagine da plasmare nella mente della gente o una percezione da influenzare (come dicono invece i cosiddetti copywriter persuasivi, evidentemente affascinati dalle arti magiche), ma è una vera e propria relazione di fiducia da alimentare con costanza e pazienza, con il pensiero prima e con l’azione curata nei minimi dettagli, poi.

M:

Capisco il tuo punto di vista, ma non sono sicuro che sia il più efficace. Dire che tutto è branding (le varie P, ecc.) o che il marketing ≪non può che essere brand marketing≫ può far apparire il brand come una figura ingombrante, che si mette in mezzo in tutti i processi aziendali. Invece il brand non è l’eroe, è l’aiutante; non è Luke Skywalker, è Yoda. 

Credo che proprio le (piccole) aziende italiane abbiano bisogno di sentirsi dire che il marketing può ancora vendere prodotti come ha sempre fatto; un po’ come nella tesi 80 del Cluetrain Manifesto: ≪Niente paura, potete ancora fare soldi. A patto che non sia l’unica cosa che avete in mente≫. 

Molti imprenditori hanno bisogno di sentirsi dire questo per trovare il coraggio di lavorare sul proprio brand. Devono sapere che non diventerà improvvisamente il protagonista di tutte le loro azioni, ma un prezioso aiutante che ogni tanto dirà: ≪Mentre fai questa cosa, cerca di comunicare anche i nostri valori così ispiriamo più fiducia≫; oppure: ≪Questo è meglio non farlo perché potremmo danneggiare la nostra reputazione≫.

F:

Be’, proprio questo è il bello di questo lavoro: ogni brand manager (o consulente) potrà trovare il ruolo del brand che meglio si adatta alla situazione e alle sfide che si pongono. L’importante è che conosca bene i fondamentali del branding: quelli resteranno sempre la sua stella polare. 

M:

E qui direi che abbiamo trovato un perfetto punto d’incontro.


Per approfondire:

  • F. Rubino, Il branding agile e la formula della fiducia. Perché il digitale passa in fretta e le buone idee no, Hoepli 2023.
  • La copertina è un’elaborazione a partire da Work icons by prettycons – Flaticon.