Da quando Nike ha pubblicato la meravigliosa campagna Dream Crazy (Widen+Kennedy), nel 2018, con Colin Kaepernick protagonista, cerco di non perdermi nessuna uscita del brand. E devo dire che molte volte mi ha stupito, come con il video per i mondiali femminili di calcio nel 2019. Così, appena uscito, sono corso a guardare lo spot per i mondiali in Qatar.
C’è una sorta di macchina del tempo che fa sfidare alcuni dei migliori giocatori di tutti i tempi nel momento migliore della loro carriera: Cristiano Ronaldo gioca contro il sé stesso del passato, contro il Ronaldo brasiliano, Ronaldinho e molti altri calciatori e calciatrici (ci sono anche le statunitensi Alex Morgan e Carli Lloyd, l’inglese Leah Williamson e l’australiana Sam Kerr).
Un grande inno al calcio che unisce uomini e donne. Bello. Ma tutti sanno che il tema, qui, era un altro. E Nike si è girata dall’altra parte.

In Qatar migliaia di persone hanno lavorato come schiavi per costruire in tempo stadi, strade e infrastrutture, costretti a turni massacranti nel caldo infernale del Golfo Persico. Più di 6.500 di loro sono morti. Inoltre il Qatar non rispetta i più elementari diritti civili, considera l’omosessualità un reato e le donne sono sottoposte all’autorità maschile. (Il magazine sportivo Ultimo Uomo ha raccolto una serie di articoli e inchieste in una pagina web che segnala all’inizio di ogni articolo sui Mondiali).
Nike, quella stessa Nike che aveva preso posizione contro le ingiustizie americane e contro la presidenza Trump, inimicandosi milioni di elettori repubblicani, si è voltata dall’altra parte. Adidas, Fly Emirates, Coca-Cola, Sony e Visa, che sono tra i main sponsor di Qatar 2022, si sono voltati dall’altra parte.
I brand, soprattutto i grandi brand, possono spingere la società verso il meglio. Oppure verso il peggio. Questa volta è stato verso il peggio.