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Razzolare male

Tempo di lettura: 2 min

Quattro italiani su cinque credono che un’azienda che voglia migliorare il mondo debba iniziare dai suoi dipendenti. Se questo è vero, allora il mondo delle agenzie non è messo benissimo.

Lo scorso mese durante il festival della creatività IF!, dedicato alla Rivoluzione della gentilezza, su alcuni muri di Milano è apparsa una campagna di guerrilla ideata da “creativi, account, strategist, giovani e sottopagati, per la maggior parte in stage perpetuo” (come si definiscono su Instagram) che si sono ribattezzati Genitlissima.rivolta.

Tra i messaggi: Scusateci, ma davvero servono 15 mesi di stage per capire se assumerci? Oppure: Piangere dopo gli insulti è umano, non “troppo emotivo” grazie!

Un altro dei messaggi di Genitlissima.rivolta durante IF!

Nei giorni scorsi due persone, indipendentemente, mi hanno fatto tornare in mente questa “rivolta”. Una delle due ne ha parlato anche pubblicamente, quindi posso nominarlo. È Andrea Del Prete, un bravissimo freelance (date un’occhiata al suo sito) che ha pubblicato un post su Linkedin per denunciare una pratica diffusa: non citare i freelance che hanno collaborato con le agenzie nei credits dei lavori svolti insieme, anche quando non è presente un esplicito accordo di riservatezza.

L’agenzia è poi corsa ai ripari inserendo il suo nome, ma chiedendogli in cambio di modificare o rimuovere il post. Cosa che Andrea non ha fatto, dimostrando una grande onestà intellettuale. Ha invece aggiornato il post, raccontando il seguito.

Le due domande che Andrea solleva sono: Fin dove si possono spingere gli accordi di riservatezza? E quali restrizioni diventano un limite per la proprietà intellettuale del progettista?

Fino a qualche giorno fa pensavo che l’unica arma in mano ai creativi in stage perpetuo e ai freelance fosse dire di no. Un’arma che fa male anche a chi la usa, spesso più a chi la usa (non a caso la bio di Gentilissima.rivolta è: “Alla fine ci licenzieranno tutti”). Ma ora credo che parlarne pubblicamente, anche creativamente, sia anche questa un’arma.

Almeno per aprire un dibattito.