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Il colore non è più un elemento essenziale dell’identità di marca

Tempo di lettura: 3 min

Molti brand stanno abbandonando l’uso di un colore monolitico per dare modo alle persone di esprimere meglio la loro individualità attraverso l’uso dei loro colori preferiti.


Perché è importante: Oggi una delle più grandi sfide dei brand è dare più strumenti alle persone per esprimere la loro individualità, senza perdere la propria identità di marca.


Il colore è ancora una parte importante della brand identity? Se lo è chiesto Daniel Ibbotson, direttore creativo di Graphical House, in un post su Linkedin e in un articolo.

«Storicamente il ruolo del colore per i brand è stato piuttosto semplice. Scegli un colore. Stai su quello. Dì a tutti che è tuo. Coca Cola, EasyJet, Tiffany & Co», ha scritto Ibbotson. Ora però molti brand stanno facendo un passo indietro, slegandosi da un singolo colore per lasciare sempre più libertà al pubblico di sceglierlo da sé.

Oggi il pubblico è alla ricerca di modi sempre nuovi per esprimere la propria personalità e dichiarare «chi sono». Non solo, vuole poterlo fare in ogni momento, assecondando le sfumature di umore e i cambiamenti di stato d’animo: «Sono stufo dello starlight, penso di essere più midnight adesso», scrive con ironia Ibbotson (lo starlight è una sfumatura di colore tra il lilla e il viola, il midnight tra il nero e il blu).

Apple è, come quasi sempre, un ottimo esempio: da tempo ha abbandonato il total white per declinarsi in una grande varietà di colori. Ma Ibbotson cita anche progetti di Mercedes e Porsche o il fatto che Google non abbia un colore ma una palette. E noi possiamo aggiungere il caso di Fiat.

Credo che possiamo inserire questa dinamica in un processo più ampio, che definirei di «liquefazione» degli elementi dell’identità di marca: non esiste più nulla di granitico, ogni elemento può diventare fluido.

Con il suo recente rebranding, di cui abbiamo già parlato, MullenLowe ci ha mostrato che perfino il logo può liquefarsi. Oggi MullenLowe non ha un logo, perlomeno non ha quell’elemento solido e sempre uguale a sé stesso che siamo abituati a definire logo. L’aspetto del suo marchio cambia continuamente all’interno di alcune linee guida, mantenendo fisse le sensazioni che comunica. Inoltre ogni dipendente può creare un proprio logo MullenLowe da mettere sui biglietti da visita, assolutamente unico: ovviamente per dar loro modo di esprimere al meglio la propria personalità.

Queste esperienze ci ricordano che un brand non vive nei suoi elementi tecnici ma in ciò che quegli elementi comunicano: vive nelle sensazioni, nelle idee, nelle associazioni che suscita nelle persone. Se queste sensazioni-idee-associazioni rimangono stabili, tutto il resto può cambiare per lasciare più spazio al pubblico di dire «chi sono».

Sono finiti gli anni in cui le persone sceglievano un brand per «vestirsi» della sua personalità. Oggi la nostra società dà grande importanza all’espressione dell’individualità (basti pensare al successo del coloratissimo Sex education su Netflix). Per questo le identità di marca devono diventare più liquide, per dar modo a ciascuno di reinterpretarle in maniera personale e unica.

Essere più liquido senza diventare gassoso è una grande sfida del branding, in questo momento storico.


Per approfondire:

  • Ho chiesto a Daniel Ibbotson se aveva riferimenti da consigliarmi per approfondire il tema, ma mi ha confermato che siamo su un terreno ancora poco esplorato e le sue riflessioni erano frutto della propria esperienza. Per cui vi rimando al suo articolo In Rainbows, appena pubblicato (ottobre 2023).
  • L’icona usata nell’immagine di copertina è tratta da Web Fonts (licensed by CC BY 4.0).